Sen fatti in mili modi
“Sen fatti in mili modi”.
Così diceva un giorno lo zio mentre stavamo lavorando.
Ogni tanto aiutavo gli zii nel loro ristorante. Avevo appena preso un’ordinazione e come di mio solito osservavo le persone che avevo di fronte. Come di mio solito mi soffermavo su tutti i dettagli che caratterizzavano quel tavolo fatto di anime. Come ordinavano, come mi parlavano, cosa ordinavano. Mi avevano lasciato perplessa. Non riuscivo a capire se fossero maleducati (anche se ho imparato a non credere alla maleducazione fine a se stessa, è semplicemente una grande insicurezza verso tutto), se fosse il loro modo di approcciarsi alle persone o semplicemente avevano appena litigato tra di loro e su quel tavolo, in quel momento, aleggiava una nube densa pronta a piovere pioggia acida. Rientro in cucina con la comanda, commento la situazione appena vissuta (purtroppo non riesco mai a far stare zitta la mente e la bocca, devo esprimermi). Lì la risposta.
“Sen fatti in mili modi”.
Questa frase riecheggia spesso nella mia mente.
Si vuole cercare di capire l’altro dal proprio modo di vedere il mondo. Quando si vuole farsi capire, quando si vuole imporre il proprio pensiero. Il più delle volte lo si fa per questioni egoiche. Una sorta di prevaricazione sull’altro. Ma dove sta il senso di fare tutto ciò? Siamo fatti in mille modi. Ognuno è pazzo alla sua maniera. Perché si, sono sempre più convinta che siamo tutti pazzi. Diamo del pazzo a quello che non la pensa come noi. Diamo del pazzo a quello che si comporta in un modo completamente diverso da noi, totalmente non in linea con la nostra scala di valori. Ma chi dei due soffre veramente di pazzia? Quella persona oppure noi?
La zebra non se ne esce dicendo “ma com’è ridotto quell’impala”. Non lo fa. Sa che è diverso. La zebra sta con le zebre. Sa riconoscere chi è come lei. Certo, per lei non è un problema brucare la stessa erba che bruca l’impala, stargli a fianco. Entrambi sono erbivori, entrambi devono scappare dal leopardo, dal ghepardo, dalle iene, dai grandi predatori. Non è un problema perché semplicemente la zebra sa chi è, sa chi è come lei e sta con chi è come lei. E stessa cosa fa l’impala. Convivono sulle stesse grandi praterie. Si spostano cercando la stessa acqua nella stagione secca. Conoscono le abitudini le une degli altri e viceversa. Si avvisano se c’è un pericolo, si scrutano in cerca di possibili minacce. C’è sempre la sentinella. Sanno convivere e accettano il con-vivere, il vivere assieme. Non si impongono le une sugli altri. Sanno di essere diversi e si accettano per la loro diversità. Che ne sappiamo che non sia pieno di pazzi anche lì in mezzo. Ognuno con il suo carattere (lo credo fermamente). Anche tra loro ci sarà quello che si fa più i fatti suoi, quello che vuole il contatto, chi rompe le scatole a quelli a fianco mordendo il dorso. Ma questo loro modo di agire non deriva mai da ferite passate. Deriva sempre da ciò che sono. Non è una protezione, qualsiasi loro comportamento. Semplicemente sono. Nessuna imposizione, nessuno sguardo giudicante tra gli uni e gli altri.
Walt Whitman aveva ragione in quella poesia. La gran virtù degli animali, all’infuori dell’animale umano, è proprio quella di essere ciò che sono.
Senza giudizio tra gli uni e gli altri, senza paura di sentirsi sbagliati.
Sono ciò che sono nella loro pazzia.